La difficile costruzione della propria immagine

Normalità o deafhood?

Questa riflessione nasce dalla lettura dell’articolo “Vissuti psicoemotivi della persona sorda protesizzata” (Masci, 2009), che  parla dell’autostima e della percezione del Sé nella persona sorda. Vorrei in questo contesto limitarmi a fare alcune considerazioni in merito a tale argomento, a mio avviso poco discusso e spesso sottovalutato.

Storicamente le persone sorde sono state sempre considerate come “sordomute” e conseguentemente “diverse”, “incapaci”. Basti pensare alla terminologia che si è sempre adottata: cofòs, àlalos, surdus ac deinde mutus, per terminare con deaf and dumb, ancora purtroppo utilizzato. Tali accezioni sono tutte cariche di un significato negativo che va al di là del semplice deficit fisico, poiché implicano spesso anche un limite intellettivo.

Attualmente la tecnologia e le conoscenze in campo abilitativo ed educativo hanno fatto progressi tali per cui oggi le persone sorde hanno la possibilità di acquisire un’adeguata competenza cognitiva e linguistica, affrancandosi dall’unico vero handicap che in tutta la loro storia le ha relegate ai margini della società: l’assenza della lingua. Tuttavia tali risultati sono stati raggiunti soltanto a partire dagli anni 60’ e purtroppo ancora non sono diventati di routine. Ancora oggi nel territorio italiano gli interventi sono effettuati “a macchia di leopardo”. Probabilmente per questo, probabilmente per la storia ancora recente della conquista della parola, probabilmente per mille altri motivi, nell’immaginario collettivo comunque non è ancora mutata la concezione della persona sorda, che rimane ahimé incapace.

Di fronte ad una società che penalizza gli svantaggiati, che esalta la perfezione fisica, che considera le persone sorde come sordomute e quindi incapaci, di fronte a segnali contraddittori che pongono la persona Sorda come “figlia di un Dio minore” e parte di una minoranza linguistica o per converso la stigmatizzano come disabile, è comprensibile che la costruzione di un Sé sereno ed equilibrato sia estremamente difficoltosa.

Il bambino sordo entra presto in una serie di dinamiche sociali, sanitarie ed educative (diagnosi, protesizzazione, abilitazione, integrazione scolastica fino al collocamento lavorativo mirato) che per loro stessa natura sottolineano la sordità. Forte è quindi il rischio che il bambino sia portato a costruire il proprio io intorno al sé sordo piuttosto che intorno al .

Gli stessi protocolli abilitativi spesso cadono nell’errore di vedere prima l’orecchio e poi il bambino, non viceversa, fondando quindi il proprio programma abilitativo sulla riabilitazione dell’aspetto deficitario piuttosto che sulla promozione di strategie compensatorie basate sulle capacità del bambino. In altri termini ci si focalizza troppo spesso sulla dis-abilità piuttosto che sull’abilità. Questo viene sicuramente percepito dal bambino, data anche la natura a lungo termine dell’intervento logopedico del bambino sordo (normalmente più incontri settimanali dal primo anno di vita fino ad arrivare all’età dell’adolescenza), rendendo così  difficile la realizzazione di uno sviluppo affettivo e relazionale armonico.

Il bambino sordo quasi quotidianamente e per lunghissimo tempo va a logopedia, a scuola ha l’insegnante di sostegno (quando non sono presenti altre figure specializzate, come educatori, interpreti, assistenti alla comunicazione, ecc), riceve di solito una serie di ausilii che pur aiutandolo lo marcano come diverso. Spesso poi incontra figure professionali che vedono in lui solo un orecchio da curare educatori che lo considerano culturalmente diverso. Dato il caos in cui versano i protocolli di abilitazione, non di rado ai bambini sordi vengono proposte attività speciali e specializzate, oltre ad una lingua diversa.

In una situazione simile il bambino sordo non può non rischiare di sviluppare il proprio io lungo un asse monodimensionale, quello della sordità, arrivando a percepire sé stesso come un sordo bambino, piuttosto che come un bambino. Non solo, ma dato che la costruzione del Sé avviene come un “mulinello nella corrente sociale” (Mead, 1966) il bambino fa proprie tutte le diverse e discordanti concezioni sociali relative alla sordità introiettandone tutte le contraddizioni.

Quali le contraddizioni? È sufficiente dare una rapida scorsa alla bibliografia attuale relativa alla sordità per rendersi conto dell’esistenza quantomeno di una duplice e contrapposta visione della persona sorda. Da un lato un’estrema medicalizzazione del problema e la convinzione della sua risoluzione grazie alla tecnologia: la sordità non esiste più; dall’altro invece l’esaltazione della sordità come tratto distintivo di una minoranza culturale e linguistica: il deafhood.

Fra questi due poli opposti sono presenti mille altre visioni diverse fra loro.

Le difficoltà per la persona sorda quindi non si esauriscono nell’infanzia e nemmeno nella ristretta cerchia familiare, parentale, abilitativa e scolastica.

L’individuo, immerso nella società, costruisce la propria identità in modo da ridurre il più possibile la dissonanza cognitiva che inevitabilmente si verifica fra il sé privato e quello pubblico.

A livello di Sé pubblico, in quale categoria può o deve riconoscersi la persona sorda? È preferibile essere disabili e svantaggiati per ottenere pochi privilegi oppure negare le difficoltà, rifiutare “l’irraggiungibile normalità” ed essere parte di una minoranza etnica, culturale e linguistica? Come rendere la scelta fatta compatibile con il Sé privato? Quest’ultimo, incentrato sul vero “io” della persona rischia di rimanere soffocato e soprattutto di essere modellato su un’unica dimensione, quella della sordità.

Il processo di costruzione della propria identità cerca di mediare fra l’immagine che abbiamo noi di noi stessi e quella che ci viene rimandata dallo specchio sociale  (Miceli,1998). L’immagine che la società ha delle persone sorde è, abbiamo visto, quantomeno negativa o comunque distorta. Le persone oggetto di un tratto sociale penalizzante – in questo caso la sordità - molto probabilmente lo interiorizzeranno, insieme ai suoi connotati, nel caso presente: disabilità, inferiorità, incapacità oppure diversità, minoranza, alterità. Come avere un’adeguata autostima?

Ma veniamo al punto centrale: sordità e protesi acustica. Nel suo articolo Masci afferma tout court che “la protesi genera disagio e condiziona la vita delle persone sorde sia nella costruzione della propria identità sia nelle relazioni con gli altri” senza argomentare tale affermazione e limitandosi poi a suggerire che è fondamentale il contatto con altre persone che condividono lo stesso deficit.

Il primo tratto sociale che marca la sordità –handicap invisibile per eccellenza, in quanto non visibile né simulabile – è proprio la protesi acustica[1]. Questa rappresenta la concretizzazione della sordità sia nel periodo del trauma diagnostico per la famiglia in cui spesso il momento peggiore è proprio quello della protesizzazione del bambino piccolo (Bacchini, Valerio, 2000); sia per il bambino o persona sorda che può essere identificata come tale proprio per la protesi acustica, indipendentemente dalla sua competenza linguistica.

L’apparecchio acustico è quindi una sorta di marcatore fisico e sociale della sordità, tanto è vero che spesso nei casi in cui viene rifiutato buona parte della motivazione risiede, oltre che nelle problematiche legate al suo uso, nella sua valenza sociale negativa.

Il suo vissuto negativo è confermato ancora dallo scarso e comunque recentissimo  investimento che se ne fa a livello “moda” e “design”: solo da qualche anno gli apparecchi acustici hanno cominciato ad avere una gamma di alternative colorate e accessori “carini”. Tuttavia è da ricordare che le case produttrici cercano comunque di miniaturizzarli sempre più proprio per nasconderli e spesso e volentieri la reclamizzazione dei prodotti per l’udito esalta prima il design e poi la tecnologia. (Amplifon[2], Oticon[3]).

Credo quindi che sia indiscutibile il disagio che una protesi acustica comporta, tuttavia credo anche che sia estremamente riduttivo addossare tutte le problematiche sociali a questo apparecchio. Tant’è vero che Jambor ed Elliott (2005) nella loro analisi dei fattori che risultano collegati all’autostima di studenti sordi la protesi non figura affatto. Secondo gli autori tali elementi sono: la modalità comunicativa, il tipo di scuola frequentato, l’età di insorgenza della sordità, il grado di sordità, l’identificazione nel gruppo.

Ritengo che sia importante notare come tutti i fattori segnalati nello studio siano  fortemente collegati con la competenza linguistica: la modalità comunicativa rimanda alla competenza linguistica, l’età di insorgenza e il grado di sordità sono i due elementi che più di ogni altro determinano la situazione linguistica di una persona, l’identificazione nel gruppo è spesso e volentieri data dalla comunanza linguistica, il tipo di scuola frequentato è anch’esso correlabile alla competenza linguistica.

Viene quindi da pensare che sicuramente il disagio generato dalla protesi acustica nelle persone sorde sia legato al fatto di essere identificati come “sordi” e trovarsi attribuite quindi tutte le connotazioni negative relative alla sordità, ma che in ultima analisi la differenza reale venga fatta dalla competenza linguistica che sicuramente fornisce gli strumenti cognitivi poter elaborare in modo adeguato la propria identità e fare fronte alle inevitabili discrepanze cognitive.

Bibliografia e sitografia

Bacchini, D. Valerio, P. (2000) Le parole del silenzio. Le problematiche emozionali della sordità infantile Ma.Gi., Roma

Jambor, E., Elliott,M. (2005) Self-esteem and Coping Strategies among Deaf Students, Journal of deaf Studies and Deaf Education, 10,1, 63-81

Masci, R (2009) Vissuti psicoemotivi della persona sorda protesizzata: uno studio esplorativo. Difficoltà di Apprendimento, 14, 3, 391-401

Mead, G.H. (1966) Mente, sé e società Giunti, Prato

Miceli, M. (1998) L’autostima. Il Mulino, Bologna

http://www.amplifon.it

http://www.oticon.it


[1] Con protesi acustica intendo sia la protesi acustica tradizionale che l’impianto cocleare.

[2] http://www.amplifon.it/wps/wcm/connect/1dec658041f6031fbe89be1ae79baf5e/vibeClienti.pdf?MOD=AJPERES trovato il 23/05/2010

[3] http://www.oticon.it/it_it/OurProducts/ConsumerProducts/Dual/Downloads/Dual_Brochure.pdf trovato il 23/05/2010

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http://travelhouseuk.files.wordpress.com